Il caso D’Alema

C’è stata un’epoca in cui apprezzavo molto Massimo D’Alema. Lo avevo ricevuto una volta alla NATO e due volte a Buenos Aires. Lo avevo incontrato in altre circostanze a Roma. Riferendosi a una cena che avevo organizzato per lui a Bruxelles con Emma Bonino, con il Segretario Generale della NATO Solana e Mario Monti, un giornalista de La Repubblica scrisse che quella sera D’Alema, allora Segretario dei DS, “aveva  compiuto gli esami di passaggio internazionali”. Mi adoperai perché avesse dall’Università di Buenos Aires la laurea “honoris causa” in Legge (l’unica che gli permetterebbe di farsi chiamare “dottore”, non essendosi mai laureato).

Questo per dire che avevo per lui una convinta stima. Mi pareva un esempio del post-comunista che aveva abbandonato le utopie e gli errori di un tempo e agiva con lucida  concretezza. Mi colpiva in particolare la sua piena adesione all’Occidente e all’Alleanza Atlantica (non era il solo, altri come Giorgio Napolitano, lo avevano preceduto su quella strada) e, in particolare, ammirai la sua coraggiosa decisione, da Presidente del Consiglio, di far partecipare l’Italia all’azione contro Milosevic al tempo della guerra del Kossovo.

Poi qualcosa ha cominciato ad andare storto. Perse una elezione regionale, dovette lasciare Palazzo Chigi e il suo partito, ingrato, lo mise da parte, preferendogli il serafico Veltroni, uomo di grande cultura e innegabile umanità, ma di pochissimo polso. Mancò l’elezione al Quirinale e la nomina a Ministro degli Esteri europeo e, a parte un periodo alla Farnesina nel governo Prodi, non ebbe altro che incarichi parlamentari di non speciale rilievo. Poi sopravvenne il ciclone Renzi, che lo prese, un po’ ingenerosamente, a bersaglio della sua rottamazione. Da quel momento, tutte le sue azioni sono state mosse da un solo movente: l’odio per il giovane Segretario del PD. Non potendo recuperare le redini del Partito, e superbamente sprezzante delle ripetute “incoronazioni” di Renzi da parte degli iscritti, si è ritagliato un posto di rilievo come “nemico e oppositore numero uno”.  Non è il solo, d’accordo: ci sono i Bersani, gli Speranza e altri (per lo più “rottamati”) ma Bersani è un perdente nato, che nel 2013 è riuscito a mancare un’elezione già vinta e poi a sbagliare tutto. Che agisca anche lui per puro risentimento è chiaro. Ma non ha la pericolosa capacità di leadership che ha D’Alema.

A pensarci, le posizioni assunte da questa gruppetto di scontenti si situano al di là della semplice razionalità politica, appartengono al regno dei risentimenti viscerali e alla pura, disperata smania di contare qualcosa. Tutti insieme conteranno sì e no un 3% dell’elettorato ma sanno che, a questi lumi di luna, anche un pugno di voti può determinare il successo o la sconfitta di una grande forza politica. Per questo si preparano, se passa l’attuale proposta di Legge elettorale che prevede una parte di collegi uninominali, a presentare propri candidati in quei collegi, senza nessuna possibilità di vederli eletti ma solo per il gusto perverso di far perdere il PD. Con il rischio che, in caso di vittoria del Centro-destra,  al governo non vada un moderato, liberale ed europeo (ma sì, come tutto sommato è Berlusconi) ma Salvini. A questa eterna sinistra a vocazione suicida non preoccupa consegnare l’Italia all’estrema destra. Quello che preoccupa il gruppetto di emarginati e scontenti, il loro unico cieco scopo, è distruggere l’odiato Renzi. Del Paese, a chi importa qualcosa?

Che alle prossime elezioni vinca il centro-destra, come appare nei sondaggi, poco male: poco male se il Governo va nelle mani di un moderato, liberale ed europeo. Ma il rischio è che, per il gioco delle percentuali, tutto finisca nelle mani di un Salvini qualsiasi.

©Futuro Europa® Le immagini utilizzate sono tratte da Internet e valutate di pubblico dominio: per segnalarne l’eventuale uso improprio scrivere alla Redazione

Print Friendly, PDF & Email
Condividi

2 Commenti per "Il caso D’Alema"

  1. Massimiliano Aita | 8 Ottobre 2017 a 19:36:54 | Rispondi

    Dunque D’Alema è un rancoroso perché’ detesta, cordialmente ricambiato, Renzi. Non importa se ciò che dice è giusto o sbagliato. Conta l’animus.
    Strano modo di interpretare il pensiero politico e di guardare all’interesse degli italiani.

  2. Candido Morandini | 9 Ottobre 2017 a 16:29:10 | Rispondi

    “Oggi essere dalemiani, da Sinistra, rischia di diventare un dovere civile prima che politico. Un dovere democratico. In questi tempi tristi che viviamo lo squadrismo politico e giornalistico contro D’Alema rappresenta quel linguaggio, quindi quel pensiero, che una moderna sinistra ha il dovere di arginare, combattere e superare”. Cito Mariano Paolozzi per non far fatica a dire le stesse cose con parole mie. Aggiungo una cosa sola: visto in azione Renzi presidente del consiglio, la maggioranza degli italiani non lo rivoterebbe neanche se l’alternativa fosse l’orso Yoghi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo mail non sarà pubblicato


*