Schiavitù, la Costa d’Avorio risveglia la sua memoria

Il mese di Luglio ha riportato indietro nel tempo in modo significativo la memoria della Costa d’Avorio attraverso la commemorazione dedicata alla Storia della Schiavitù, punto di partenza di un progetto più ampio chiamato “La strada dello schiavo”.

Pochi conoscono la cittadina di Kanga-Gniazé, situata a un centinaio di chilometri a Nord di Abidjan. Ma per gli ivoriani questo è un luogo sacro. E’ qui che furono convogliati dal Nord e dall’Est del Paese migliaia di schiavi. E’ anche il luogo dove  molti di loro furono venduti. Ed è qui che avveniva la cerimonia della “purificazione attraverso l’acqua”. Una stele in loro memoria è stata inaugurata dalle autorità ivoriane lo scorso sei Luglio. Insieme a  loro autorità del Continente africano come l’ex Presidente del Benin Sogolo, il campione del Mondo del calcio francese Lilian Thuram e lo storico congolese Elikia M’Bokolo. Questa giornata della memoria rientra nel quadro di un progetto dell’Unesco “La strada dello schiavo”, lanciato nel 1994, che recensisce i luoghi storici di passaggio degli schiavi in diversi Paesi africani. Ma il Paese, in associazione con altri Stati africani, vuole andare più lontano e far si che la Storia della schiavitù sia insegnata meglio alle giovani generazioni africane e risvegliare così il loro senso identitario.

“Vanno fatte ancora molte ricerche sulla schiavitù, qui come in tanti altri Paesi”, spiega Aka Kouame, storico dell’Università Felix-Houphouet-Boigny e capo di una squadra multidisciplinare che recensisce in Costa d’Avorio  i siti legati alla schiavitù. “Le autorità ivoriane vogliono far emergere gli studi su questo argomento. Questa stele è una cosa buona per tener viva la memoria”, sottolinea Kouame. Secondo alcune testimonianze, pare che  questo luogo, “come in altri posti in Togo (…), destinato a domare gli schiavi per renderli più docili prima della partenza, e questo attraverso il rito di purificazione  dell’acqua, ma questo rimane da dimostrare”, sottolinea il professore.

La tratta negriera atlantica (inglesi, francesi, olandesi, portoghesi e americani) tra il 1450 e il 1860 ha deportato verso le piantagioni delle Americhe e delle Antille 11 milioni di Africani, soprattutto originari dell’Angola, dell’Alta Guinea, della Senegambia e del Benin. La replica della cerimonia di purificazione attraverso l’acqua nel ruscello sacro di Kanga (schiavo)-Gniazé (acqua) ha riunito numerosi ivoriani e delegazioni di afroamericani e antillesi che hanno scoperto, attraverso il test del DNA, avere avi africani. “Qui venivano convogliati prigionieri provenienti dal Nord, dal Sud, dall’Est e dall’Ovest. Luogo storico, luogo di memoria, qui riecheggia ancora il suono sordo dell’angoscia. A voi, discendenti degli schiavi africani, di accettare simbolicamente il nostro dispiacere. Perdono, perdono, perdono”, ha dichiarato il Ministro della Cultura. “Gli schiavi arrivavano qui stanchi e questa purificazione dava loro la forza, la resistenza per sopravvivere”, spiega Aubin Kouassi Yapi, un giovane uomo di 34 anni, con un bambino in braccio. Ha a mente la storia di suo nonno e promette di raccontarla a suo figlio. Kelley Page Jibrell, è un’imprenditrice originaria di Washington venuta a lavorare in Costa d’Avorio quasi per caso. All’inizio aveva rifiutato i test del DNA perché voleva mantenere un’identità “panafricana”, poi però non ha resistito e forte è stata la sua emozione quando ha scoperto le sue radici ivoriane. Ancora più forte l’emozione quando si è sottoposta alla cerimonia di purificazione.

Sono sempre di più coloro che ritengono un onore scoprire dopo secoli che le loro anime e il loro sangue sono ancora lì, che il legame non si è spezzato. Commemorazioni come queste andrebbero incoraggiate sempre più, anche per ridare nuovo impulso e nuova vita a un Continente sfruttato fin troppo da altri e che merita oggi di vivere di vita propria.

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