Grande Fratello USA, schedati 200 milioni di elettori

Il vizietto è duro a morire, gli scandali fondati su attività di monitoraggio per avvantaggiarsi nei confronti dell’avversa parte politica sono ormai comprovati cardini della vita pubblica americana. Watergate docet. All’epoca, i Repubblicani sfruttarono lo strumento delle intercettazioni illegali per prevenire le mosse dei democratici; oggi – con la vasta diffusione dell’uso della rete, di applicazioni web e social media – il bersaglio è direttamente l’elettore, target più semplice, perché è l’utente stesso a fornire, spesso sprovvedutamente, informazioni sensibili sul proprio conto. L’incrocio sistematico di elementi attinti soprattutto dalle cosiddette open sources (fonti aperte) consente ad aziende specializzate in marketing e sondaggi di “profilare” il potenziale cliente in base ai gusti, agli orientamenti, alle opinioni espresse e di creare banche dati tematiche disponibili alla consultazione del miglior offerente.

Anche questa volta, ad essere stati pizzicati sono i Repubblicani, rei di aver scandagliato la privacy di circa duecento milioni di elettori statunitensi. D’altronde, è noto che le strategie di una campagna politica si elaborino necessariamente sulla scorta delle risultanze emergenti da statistiche mirate e da sondaggi d’opinione; il candidato, compatibilmente col proprio programma, deve comunque poter navigare dove tira il vento. Nelle competizioni elettorali, il “bollettino meteorologico” è, perciò, fondamentale.

Ed ecco giungere, allora, la notizia della divulgazione “accidentale” (termine indubbiamente ostico anche alla digestione del più candido dei lettori) online dei dati personali e dei pareri di oltre il 62% dell’intera popolazione americana, ad opera di una società di ricerche di mercato contattata dal Comitato nazionale repubblicano, la Deep Root Analytics. Dati anagrafici e codice fiscale a parte, ogni scheda è corredata da indicazioni su eventuali appartenenze religiose, pregiudizi e posizioni assunte in relazione a temi delicati come aborto, controllo delle armi, discriminazione razziale e sessuale, uso delle cellule staminali e quant’altro.

Il presunto abuso (è ancora da determinare, in realtà, se ci siano gli estremi per la configurazione di reato) – una delle più estese violazioni di dati elettorali negli Usa, secondo la BBC – sarebbe stato scoperto da un famoso analista in rischi cibernetici, tal Christ Vickery.

La Deep Root Analytics esclude di essere stata penetrata da hacker e il suo fondatore, Alex Lundry, si accolla l’intera responsabilità della vicenda e assicura di aver adottato tutte le contromisure indispensabili a scongiurare ulteriori accessi esterni di terzi non autorizzati.

Periodo non facile per l’eletto neo Presidente Trump: i Repubblicani non sono stinchi di santo, ma sarebbe da scommettere che, dietro le quinte, qualche dem – per nulla rassegnato al cambio d’inquilino alla Casa Bianca – stia approfittando dei marchiani errori “informatici” dell’avversario, per convincere l’opinione pubblica che il Russiagate è un’accusa fondata e che sarebbe ora di un bell’impeachment alla Nixon.

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