Di padre in figlia (Film Tv, 2017)

Parliamo di fiction Rai, una tantum, anche se il genere non ci appassiona più di tanto, soprattutto quelle di nuova generazione, lontane anni luce dalla bellezza del cinema e soprattutto dai vecchi sceneggiati che hanno lasciato il segno nei nostri cuori. Di padre in figlia, però, merita un’attenzione particolare, perché nasce da un’idea di Cristina Comencini, realizzata da Riccardo Milani – formatosi alla scuola di Monicelli e Moretti – e si propone di raccontare uno spaccato di storia italiana, dalla fine degli anni 50 ai giorni nostri, attraverso la storia di una famiglia di Bassano. Nostalgie proustiane a tutto campo, ché le analogie tra la veneta Bassano dove si produce grappa artigianale e la proletaria Piombino, dove si faceva il miglior acciaio d’Italia, sono evidenti.

Quattro puntate di 90 minuti l’una ci terranno compagnia tra aprile e maggio, seguendo la crescita della famiglia Franza, guidata da un pater familia violento e arrivista, che litiga con il socio e si appropria dell’azienda, trasformandola in una produzione industriale. Gli elementi per affezionarsi ai personaggi ci sono tutti. Sono molto importanti le esistenze individuali dei singoli protagonisti: dalla moglie Franca (Rocca), analfabeta e ancora innamorata di un brasiliano, passando per le due figlie maggiori così diverse – la studiosa Maria Teresa (Capotondi) e la disinibita Elena (Gioli) – e i loro rapporti complessi con uomini e amici. Il padre vede soltanto il figlio più piccolo Antonio, il maschio, quindi il futuro dell’azienda, mentre non considera le qualità intellettuali della figlia Maria Teresa.

Molte le storie intrecciate a doppio filo, ricco di patos e di tensione l’episodio infantile durante il quale la figlia porta nel bosco il fratellino neonato, in preda a un attacco di gelosia. Intensa l’amicizia che finisce per legare la moglie alla prostituta – amante del marito, divenuta padrona di un negozio – una storia che unisce le due donne, fino al punto che sarà quest’ultima a insegnarle a leggere e a scrivere. Sceneggiatura ottima, senza buchi narrativi, anche se viziata da un plot da telenovela latinoamericana, ma riscattata da un’ambientazione perfetta nella provinciale Bassano degli anni Sessanta. Fotografia luminosa, scenografia e costumi senza sbavature di sorta, tra Fiat Cinquecento, tailleur colorati, maglioncini e magliette di moda nel periodo storico e – sullo sfondo – le prime contestazioni studentesche.

Ottime le scelte musicali operate da Andrea Guerra, che nella prima puntata vanno da Patty Pravo (La bambola) a De André (Canzone del maggio), passando per Ma che colpa abbiamo noi dei Rockets. Attori ben calati nelle loro parti, soprattutto le donne, vere protagonista della storia, Stefania Rocca e Cristiana Capotondi sono davvero all’altezza della situazione, senza trascurare la bellezza selvaggia di Matilde Gioli. Chi ben comincia è a metà dell’opera. Attendiamo le altre puntate.

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Regia: Riccardo Milani. Soggetto: Cristina Comencini. Sceneggiatura: Francesca Marciano, Giulia Calenda, Valia Santella. Fotografia: Saverio Guarna. Montaggio: Francesco REnda, Patrizia Ceresani. Musiche: Andrea Guerra. Scenografia: Maurizio Leonardi. Costumi: Alberto Moretti. Produttore: Angelo Barbagallo, Alessandra Ottaviani, Michele Zatta. Casa di Produzione: Bibi Film, Rai Fiction. Prima TV: 18 aprile 2017. Durata: 90′ per 4 puntate. Genere: Dramma storico – familiare. Interpreti: Alessio Boni, Cristiana Capotondi, Stefania Rocca, Matilde Gioli, Roberto Gudese, Alessandro Roja, Domenico Diele, Corrado Fortuna, Denis Fasolo, Francesca Cavallin, Demetra Bellina, Carmo Della Vecchia, Roberto De Francesco, Roberto Nobile, Eleonora Panizzo, Simonetta Solder.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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