Cronache dai Palazzi

Il Consiglio dei Ministri ha varato il Documento di economia e finanza, il cosiddetto Def, anche se con grande prudenza sui conti del 2018, anno in cui sono stati confermati gli impegni presi con l’Unione europea. La volontà generale è quella di portare avanti le riforme e completare il piano di privatizzazioni, che però dovrebbe essere portato a termine attraverso strumenti “creativi”. In sostanza il Def non rivela novità clamorose e, come hanno spiegato il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, si tratta di un piano provvisorio, cercando di temporeggiare con l’Europa.

Il governo tende comunque a spiegare all’Unione europea che con manovre espansive l’economia progredisce mentre con manovre restrittive il Prodotto interno lordo rischia una brusca frenata. La squadra dell’esecutivo Gentiloni, nel dare il via libera al nuovo Def, ha voluto in effetti sottolineare l’andamento positivo del Pil, che è passato dallo 0,1 per cento del 2014 all’1,1 previsto per quest’anno. Un valore leggermente più alto del previsto, quello registrato per il 2016, che Padoan ha attribuito alla spinta data dal governo agli investimenti pubblici e privati. Gli investimenti in programma fino al 2032 dovrebbero inoltre essere alimentati dal fondo di 47,5 miliardi improntato da Palazzo Chigi.

Il Def in pratica non entra nel merito delle scelte che l’esecutivo sarà chiamato a fare in autunno. Per il 2018 il rapporto tra deficit e Pil resta fisso all’1,2 per cento – come accordato con l’Unione europea ormai tempo fa – e il tasso di crescita previsto per il prossimo anno e anche per quello successivo non super l’1 per cento a causa di una politica restrittiva che  – in mancanza di interventi legislativi più mirati e per ora solo annunciati – includerebbe anche ulteriori aumenti dell’Iva pronti a subentrare il prossimo anno. Andranno anche reperiti circa 2,8 miliardi per i rinnovi dei contratti dei dipendenti pubblici, come confermato dal ministro Padoan. In sostanza si dovrebbe ovviare all’aumento degli 85 euro secondo quanto previsto dall’accordo politico con i sindacato lo scorso 30 novembre. In verità essendo il Def a “legislazione vigente” quei fondi non sono ancora stati contabilizzati, ragion per cui i sindacati reputerebbero “fumose” le rassicurazioni del governo contenute nel Documento. I suddetti rinnovi contrattuali rappresentano uno degli impegni politici più importanti in vista della prossima legge di bilancio, della quale invece non farà parte la riforma dell’Irpef – cavallo di battaglia del precedente governo Renzi – che infatti non viene per nulla citata nel Def.

Il governo si è impegnato però a ridurre le tasse sul lavoro, in particolare il cuneo fiscale subirà una riduzione a partire dai giovani e dalle donne. Come spiegato nel Programma di riforme l’obiettivo è “dare continuità alla riduzione del carico fiscale su cittadini e imprese, avviata con Irap e Ires e proseguire con il taglio dei contributi sociali, iniziando dalle fasce più deboli (giovani e donne)”. L’idea è ridurre il cuneo per gli under 35 e concretizzare qualche misura ad hoc per rendere più agevole il lavoro femminile.

Per ora comunque i calcoli risultano abbastanza teorici e, a parte i nuovi aumenti di iva e accise, circa un miliardo dovrebbe essere ricavato dalla nuova revisione della spesa a carico delle amministrazioni centrali. Il conto totale ammonterebbe a 14 miliardi, ossia 19,5 di incrementi fiscali già contabilizzati meno i 5 ricavati con la manovrina. Tra i vari aumenti torna l’obbligo di certificare i crediti Iva oltre i 5 mila euro – una misura contestata in passato dai commercialisti – mentre il limite attuale era di 15 mila euro. Aumenta la tassa sulle vincite oltre i 500 euro, che salirà dal 6 al 10 per cento, mentre per le vincete al Lotto passerà dal 6 all’8 per cento. Ed infine torna la cedolare secca con aliquota al 21% per chi affitta casa per brevi periodi tramite i portali internet tipo AirBnB. Secondo Federalberghi solo nella Capitale sarebbero 35 mila i turisti fantasma ogni giorno.

Per le istituzioni europee l’Italia deve comunque fare di più: è necessario un “risanamento deciso”. In pratica “gli sforzi del governo italiano vanno nella giusta direzione, l’Italia sta facendo grandi sforzi per tenere il deficit sotto controllo – dicono a Bruxelles –, ma nel medio-lungo termine, ha bisogno di consolidare decisamente i suoi conti pubblici e specialmente il suo enorme debito per salvare se stessa e l’Unione monetaria”. Il premier Paolo Gentiloni, a sua volta, controbatte dicendo che il “patto di Stabilità non può essere una camicia di forza”.

Il giudizio definitivo è atteso prendendo in considerazione i numeri aggiornati nelle previsioni economiche dell’11 maggio, quando verranno analizzati i numeri nel dettaglio e si potranno così azzerare i dubbi evitando, magari, una procedura per debito eccessivo. Il nostro governo è consapevole dell’iter da fare e, non a caso, ha introdotto nel Def un deficit pari al 2,1 per cento nel il 2017 e all’1,2 per cento nel il 2018, come richiesto dall’Europa.

Con il Documento di economia e finanza la squadra dell’esecutivo ha confermato inoltre anche il reddito di inclusione (80 euro a componente per un massimo di 400 euro, esteso a 480 euro al mese nel caso di madre single con quattro figli), strumento per fronteggiare la povertà approvato da Montecitorio a marzo, sottoforma di legge delega. Il prossimo passo previsto consiste nell’approvazione dei decreti attuativi da parte di Palazzo Chigi. Il reddito di inclusione sostituirà il sostegno per l’inclusione attiva ed è previsto un ampliamento della rosa dei beneficiari. Verrà introdotta anche la carta acquisti per minori e l’assegno di disoccupazione Asdi.

Le risorse messe a disposizione nel contrasto alla povertà ammontano a circa 1,2 miliardi per il 2017 e 1,7 miliardi per il 2018. Del sussidio beneficeranno 400 mila famiglie, circa 1,8 milioni di persone, anche se secondo l’Istat sono molte di più le persone al di sotto della soglia di povertà, ben 1,6 milioni di famiglie e 4,6 milioni di persone. Tutto ciò perché del provvedimento potranno beneficiare solo coloro che hanno un Isee, l’indicatore della situazione economica, inferiore a 3 mila euro e un livello di reddito che deve ancora essere fissato con i decreti attuativi. Il reddito di inclusione sarà destinato però a tutti i cittadini, sia italiani sia stranieri, anche se è prevista una durata minima della residenza nel territorio nazionale. I beneficiari del suddetto reddito di inclusione dovranno inoltre dimostrare di essere cittadini responsabili facendo, ad esempio, frequentare le scuole ai figli e sottoponendoli alle vaccinazioni obbligatorie e accettando eventuali proposte di lavoro avanzate dai centri per l’impiego.

Il governo ha sei mesi di tempo per approvare i decreti attuativi dalla data di approvazione della legge ma nel caso del reddito di inclusione Palazzo Chigi vorrebbe concludere entro maggio. Al di là di questo, l’iter parlamentare dei provvedimenti durerà cinquanta giorni. In definitiva, il nuovo strumento per fronteggiare la povertà dovrebbe essere operativo da settembre o al massimo all’inizio del 2018. Il reddito di inclusione così prefigurato si distingue dal reddito di cittadinanza per la cosiddetta “prova dei mezzi”, mentre il secondo dovrebbe essere erogato a tutti prescindendo da redditi e patrimonio. In verità anche il reddito di cittadinanza proposto dai Cinquestelle (720 euro al mese per un costo totale di circa 15 miliardi di euro) individua come beneficiari solo coloro che si trovano in uno stato di povertà e disposti ad accettare eventuali proposte di lavoro, in sostanza un reddito di inclusione con parametri più ampi.

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