Foreign fighters, il “nemico interno”

Condanna e sdegno, senza mezzi termini o riserve. Neanche fossimo ormai drogati dall’abitudine di assistere a crimini impressionanti contro l’umanità, la regia del terrore sembra voler scuotere ancora una volta il mondo con efferatezze sempre più folli e inedite, approfittando dell’amplificazione offerta dai media, dell’accesso globalizzato all’informazione, delle crude immagini che circolano a ogni latitudine attraverso i social network. Il bersaglio? Minare con lo strumento della paura le fondamenta e la coscienza stessa della società civile, dove le vittime non sono i diretti responsabili dei guai che affliggono il pianeta, ma i cittadini inermi di Parigi, carne da macello per kalashnikov e bombe jihadiste, o i profughi siriani e iracheni, altri candidati alla mattanza, in fuga dalla guerra e da un integralismo islamico in cui non si riconoscono. Non appena, però, scavalchiamo il muro dello shock emotivo, analizzando il fenomeno oltre i consueti filtri del bianco e nero, emergono in superficie tutte le altre tonalità di grigio. Che non sono meno inquietanti. Nelle dichiarazioni del presidente francese Hollande, a distanza di qualche giorno dal venerdì nero della capitale e, probabilmente, sulla scorta dei primi riscontri investigativi nelle indagini sugli attentati multipli, compare l’elemento di cellule terroristiche interne al paese, che realizzano, con modalità operative da commando militare, attentati pianificati dall’esterno.

Nei fatti di Parigi, dunque, i rilievi accertati sembrano fugare l’ipotesi, in casi precedenti ancora in piedi, di gruppi di fuoco autonomi, protagonisti di stragi d’esclusiva iniziativa e progettazione, siglate poi dall’Isis, con roboanti rivendicazioni di paternità. Si profila la tesi di esecutori che già vivono in mezzo a noi e che possono agire in qualsiasi momento. In Francia, il paradigma del terrorismo di marca islamica ha compiuto l’ennesimo salto di qualità: in passato,  si aggrediva l’Occidente mirando ai suoi simboli, trasformatisi, per le forze dell’ordine, nei cosiddetti obiettivi sensibili da proteggere; oggi, i bersagli sono indiscriminati, l’importante è colpire nei luoghi di grande aggregazione e durante lo svolgimento delle normali attività quotidiane. Per polizia o esercito, è impossibile vigilare su tutto e ciò genera il profondo senso d’insicurezza auspicato dai terroristi. Perché Parigi? Perché la Francia è fra le prime società europee multietniche; perché è una repubblica dalle frontiere aperte e quindi penetrabile; perché i residui del passato colonialismo hanno alimentato un astio storico – palese nelle rivolte delle banlieue – in una fetta della popolazione assorbita dal Nord-Africa; perché è una nazione sovraesposta a causa dell’interventismo militare mostrato recentemente in Libia, Iraq e Siria; perché è il paese dal più elevato numero di foreign fighter (circa 1.550 persone partite per il fronte siriano) fedeli al fondamentalismo islamico.

E proprio alla figura del foreign fighter, combattente straniero che si arruola nelle file dell’Isis, potrebbe corrispondere il “nemico interno” citato da Hollande. Il profilo prevalente è quello di uomo occidentale convertito all’islam radicale o di musulmano europeo di seconda e terza generazione, molto giovane, d’età tra 20 e 30 anni, con livello medio di studio e dimestichezza all’uso della tecnologia, che cova odio e rabbia sociale nei confronti di un Occidente da cui si sente emarginato e trova nella jihad il tratto identitario che serve al suo riscatto di diseredato, indottrinato e reclutato nelle moschee o nelle madrasse (scuole coraniche), ma anche nelle carceri e soprattutto in Internet. Muove dall’Europa verso Istanbul e da qui all’aeroporto di Hatay-Antiochia (che dal 2012, inizio della guerra civile in Siria, ha avuto un incremento dell’11% di passeggeri stranieri) per raggiungere il confine turco-siriano, con gli obiettivi di contribuire a creare uno Stato Islamico sulle ceneri di Siria e Iraq e di compiere, una volta tornato, atti terroristici nel paese europeo d’origine o nel quale la famiglia è emigrata. Anche le donne jihadiste sono in aumento e, lungo il percorso del foreign fighter, funge da supporto logistico una rete di “facilitatori”, che dispensa on line contatti, numeri di telefono e informazioni varie.

I terroristi di Parigi, probabilmente, sono giovani formati e addestrati militarmente sul fronte siriano, ritornati in Europa come dormienti, pronti a risvegliarsi per compiere le azioni che, poi, le cronache ci hanno riportato. Il coordinamento tra i vari membri della cellula o delle cellule è avvenuto in loco; la pianificazione, come già anticipato, si sospetta abbia provenienza esterna. Dietro le quinte della lotta al terrorismo internazionale, s’interseca una congerie di interessi e divergenze di vedute in seno agli stessi paesi dell’Unione, assolutamente obbligati, ora, a ritrovare piena coesione. D’altronde, non si può ignorare che l’Isis, mano armata dell’integralismo islamico, sia al contempo anche funzionale alla visione strategica di potenze occidentali inclini ad un cambio di morfologia geopolitica in Medio Oriente, perseguito sfruttando le divisioni tra musulmani sciiti e sunniti e fomentando l’abbattimento di nemici politici come Assad. Non esistono verginelle in questa brutta storia. Ci sono solo le vite delle numerose vittime innocenti sacrificate alla barbarie, in nome di una sedicente guerra che, di santo, non ha proprio nulla.

©Futuro Europa®

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